lunedì 15 novembre 2010

Pagliaccio


Clown è davanti lo specchio, come ogni sera. Si guarda attentamente: uno strato spesso di colore bianco gli copre tutto il viso e quelle macchie di colore sgargiante sembrano volerlo distrarre dall'enorme bocca rossa che sfoggia un sorriso innaturale. Clown non sopporta più la sua immagine riflessa in quel rettangolo, non è in quel modo: inizia a piangere a dirotto tenendosi la fronte con la mano e a singhiozzare, a sbattere le enormi scarpe a terra. Il fiato lentamente gli stringe la gola.

"Io so di non essere così."

Piangendo, prende il sapone e sotto il getto dell'acqua fredda inizia a strofinarselo fra le mani fino ad ottenere una schiuma con tante bollicine color arcobaleno. Inizia a togliere il trucco pesante da pagliaccio del circo e tra un singhiozzo e l'altro respira quell'acqua contaminata, tossendo.

Ripetè l'operazione altre due volte, fin quando i suoi polpastrelli non sentirono una superficie liscia; un pò esitante alzò gli occhi verso lo specchio e si guardò senza maschera, senza inganni: pulendosi il muco e le lacrime con il braccio, notò che in realtà non era un pagliaccio che piangeva. Era un uomo che piangeva.

E sempre di più piangeva.

martedì 9 novembre 2010

Sensi senza senso.

"Scritto il primo rigo di pensiero non ci si può arrestare, bisogna scrivere tutto fino alla fine per essere coerenti almeno con se stessi."


Immagini. Suoni. Sorrisi. Voci.
Ogni sorta di ricordo o di invenzione prende una forma, e non è facile descriverne le sensazioni: afferrano per la gola e tu con gli occhi spalancati non puoi fare altro che guardare in lontananza......


[Una ragazza viene colpita da un uomo alle spalle e ora il suo corpo giace ai piedi di un nocciolo.]


...... La morte ha la stessa eleganza di quella ragazza candida immersa nel sonno eterno, coperta di fango e foglie autunnali.
Sensazioni forti. Una volta arrivati al limite fra dolore e pazzia è quasi impossibile desiderare di "sentire di meno": la percezione è talmente negativa e allo stesso tempo affascinate che si diventa sadici......


[Alice, spaventata, correva rincorsa da un coniglio bianco con un bisturi in mano. Ormai era in trappola. Iniziava a tagliarle le dita dei piedi canticchiando e imitando le urla disperate della bambina. la Regina di Cuori guardava la scena. "Aiutatemi, Maestade". Sorride. "Bianconiglio, tagliale la testa". La bestia si affretta. "Subito, mia Regina"]


...... Ti chiedi il senso di queste scritture? Non hanno un senso. Basta ascoltare attentamente il telegiornale per accorgersi di quanto tutto non abbia senso......


[Questa volta non avrebbe visto il sole incendiarsi all'orizzonte. Se lo sentiva. Con la testa poggiata sulla testa guardava la sua mano scheletrica ricoperta di formichine.. Respirava lentamente e le sue orecchie iniziavano a fischiare.. o forse era il ronzio delle mosche.. Mentre alzava gli occhi al cielo, vide sua madre porgergli una ciotola con del latte: "Vieni da me, starai meglio qui". Gli occhi neri riflettevano i rami secchi di un albero]


Perchè questo mondo, questa realtà, sono alterati?
Qualcuno sta sbagliando in qualcosa.
E non è Dio.
Lui c'è già stato in croce.

lunedì 2 agosto 2010

Storia di due fratelli.

In questa storia non ho nessun ruolo se non quello di spettatrice.

Quella sera i fratelli si rincorrevano per la città, burlando i vicini, le guardie e i loro vicini che se ne stavano in piazza a giocare e chiacchierare.
"noi siamo i più forti e la città è tutta nostra, fratello!" diceva con il sorriso sulle labbra Oreste, il maggiore. Ettore lo guardava e rideva di gusto, forse infondo anche un po' invidioso del suo umorismo... ma non siate diffidenti e non storcete il naso a queste mie parole: Ettore lo adorava...
"Vieni fratello, prendiamo i cavalli, voglio fare un giro fuori città". Ettore sapeva che non era presto per una passeggiata ma volle accontentarlo ugualmente. Si diressero verso la stalla, montarono i cavalli e fra urla e spintoni scesero per la via principale fino a oltre le mura della città.
La luna si comportava come se non volesse farsi vedere e giocava a nascondino fra gli alberi del bosco. Improvvisamente la si trovava a specchiarsi (narcisa) nel mare e ad illuminare le altre isolette poco distanti fra loro.
Oreste si avvicinò fino all'orlo del precipizio, guardò il panorama e prese a indicare un punto remoto davanti a sé: "Guarda fratello: è lì che dimora la mia futura sposa...". Ettore si girò a guardarlo: fu un attimo. Vide il cavallo imbizzarrirsi e levarsi su due gambe. Oreste, inevitabilmente, perse l'equilibrio. Mentre scivolava giù verso gli scogli e le onde non pensava alla sua vita ormai passata non sapeva di morire ma, vedeva il futuro, come una sorta di premonizione:
"Ettore inizia ad urlare e a tenersi il capo fra le mani, ma nessuno lo sente. Si avvicina al precipizio e vede sangue sugli scogli e il corpo di suo fratello sbattuto contro le pareti di pietra e trasportato dal mare. Ormai sa di averlo perduto, ma riuscendo a trovare un minimo di autocontrollo, decide di recuperare almeno un brandello di pelle su cui costruire un degno sepolcro".

Per anni Ettore setacciò tutte le spiagge dell'arcipelago con la convinzione di riuscire a trovare un pezzo di suo fratello, impazzendo. Ciò a cui non penso fu la grandezza del mare e i suoi venti. Già il giorno dopo la morte di Oreste il suo corpo fu trasportato dalle correnti marine a chilometri di distanza, da est verso ovest, da nord verso sud, diventando nient'altro che cibo per pesci.





mercoledì 28 luglio 2010

La bambolina.

Strati su strati di tessuti... Chilometri di fili... Per creare una bambolina perfetta nella sua imperfezione... Sembra guardarmi dall'alto del suo scaffale con quei suoi bottoni color foglia e i capelli di lana rossa...
Eccola.. ferma, Immobile, graziosa.

Eppure non è passato tanto tempo da quando era solo poco più di una pezza, di un cumulo di stoffe... Le forbici avrebbero dato la forma giusta a ogni parte che l'avrebbe composta, rendendola proporzionata e lineare, bella da guardare; gli aghi avrebbero avuto poi il compito peggiore: mettere insieme tutte queste forme, così diverse fra di loro per il colore, la funzione e la dimensione.

Bisognava infilzare.
Pungere.
Fare male.

Avvicinare con accortezza i vari elementi, pezzi, organi, e poi farli oltrepassare da fili che avrebbero dato una certa resistenza e stabilità alla bambolina.

Venne creato dapprima il suo corpicino di pezza con stoffa dura, ruvida, e imbottito di morbido cotone... Le fu creato il viso con bottoni per gli occhi e con ricami per il sorriso e le guance... Come se già in principio avessero fatto la scelta sadica di darle percezione e facoltà ancora prima di essere completa... Fu il turno del cuoricino, dei piedi, delle mani, dei capelli. Venne coperta con vestiti che odiava ma che erano stati creati su misura per lei.. Le si fissarono addosso, appuntati con gli spilli e legati per sempre con i fili che la laceravano a millimetri. E la bambolina soffriva. E si arrabbiava. Si arrabbiava perché non era più in grado di piangere.

Tanto tempo è passato da quando era solo poco più di una pezza, di un cumulo di stoffe...

Ed ora eccola lì... sulla mensola... con quei suoi bottoni color foglia... e i suoi capelli di lana rossa... incapace di sentire altro dolore dalle punture degli aghi...
Eccola... con quel suo sorriso cucito di forza sul viso...
Mi fissa.... insofferente... finta... ferma... immobile... graziosa.

martedì 27 luglio 2010

Gratitudine al Maligno.


Ho visto il paradiso prendere fuoco.
Gli angeli imbestialirsi, picchiarsi e strangolarsi.
L'alto dei cieli ardeva e piano piano diventava prima brace e poi cenere.
Ho visto Dio soffrire per questo. Impazzire dal dolore. L'ho visto suicidarsi, buttarsi di sotto.

Non potevo permetterlo.
Mi innalzai dal trono verso il cielo andandogli incontro. Lo presi fra le mie braccia. Portai le mie fiamme più ardenti in Paradiso affinché domassero le altre... e ordinai ai demoni devoti di calmare gli angeli e di dar vita a quelli morti.

Portai Dio sul suo trono di luce:
"Non puoi cedere così. Il nostro compito è non far cadere l'Universo nel Caos".
Mi sorrise:
"Grazie, Lucifero...".

lunedì 26 luglio 2010

Rumori di assestamento.

Rumori di assestamento. Così li chiamano. Vengono improvvisamente per farti stare col respiro sospeso mentre ascolti il suono della notte.. Quelle notti insonni che passi a porti troppe domande che non avranno mai risposte, fatte di passi, di versi di animali, di sibili... e di rumori di assestamento.
Sono un po' come i colpi di scena... Ma scrivere della vita non fa per me. Non è materia mia.